blog di Carlo Cuppini

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martedì 25 gennaio 2011

La morsa di Marguerite

Il libro più bello, da molto tempo a questa parte, tra molti libri belli, importanti, essenziali, è quello più improbabile e insospettabile. Quello dal titolo più secco e banale, quasi da etichetta su un raccoglitore in un qualunque ufficio: Estate '80.
La folgorazione si nasconde dove meno la si andrebbe a cercare: in una raccolta di articoli di giornale. L'autrice è Marguerite Duras, i dieci testi sono stati scritti a cadenza settimanale durante l'estate del 1980 per il giornale francese "Liberation".
Questi testi sembrano parlare di niente mentre parlano di tutto; o viceversa; sembrano non avere né capo né coda, né coerenza né sviluppo; mentre intessono una rete di rimandi che crea un quadro di ineluttabile e sconsolata esattezza sull'umano.
Ognuno è una perla, nel passare dalla visione oziosa - in realtà abbacinata e devota - del mare a squarci di attualità, con il rumore assordante della Storia che irrompe continuamente lacerando il torpore dei villeggianti, che però non sembrano sentire.
Come si possono scrivere dieci testi d'occasione e attraverso questi, dietro un'apparente svagatezza ("non ho un tema, scriverò della pioggia"), creare un sentiero dove si intrecciano decine di ritratti istantanei del mare - con la sua alterità, la sua potenza che lascia attoniti e assalta al cuore - l'invasione sovietica dell'Afghanistan, la visione dei villeggianti da una buia camera d'albergo, la rivolta degli operai di Danzica e la conseguente repressione, il passaggio lento e continuo delle petroliere all'orizzonte come una processione funebre, i giochi olimpici di Mosca, una favola su uno squalo dal nome impronunciabile, la scoperta dalla fame in Uganda, una storia d'amore impossibile tra una ragazza e un bambino, la scrittura di Montagne e Baudelaire? E tra tutti questi temi, guardati più che raccontati, invasati di immagini e occhiate sgranate, snodare un pensiero metafisico sui rapporti tra la scrittura la perdita la memoria l'allucinazione la rivoluzione la solitudine la politica, in una viscerale metafisica della persona?
I dieci articoli in realtà sono testi necessari uno all'altro come poche altre scritture; il mosaico di onde emotive che vanno via via a comporre, è una macchina che stringe con la forza di una coerenza micidiale sul cuore, e sul tempo che ci è dato abitare.
Come in tutti i suoi testi, parole come nenia, masticatura di un pensiero elettrico sulla lingua, e a un tratto fucilate. E silenzio. Ma qui di più. Senza alibi e senza scampo. La morsa della scrittura ci consegna a un luogo segreto dove non potremo uscire con i consueti escamottage del lettore. Per un attimo almeno guarderemo, ugualmente attoniti e abbacinati, quel mare, quegli occhi grigi, quel pianto, quella Storia. E quella storia che si snoda come un coltello che ci apre.

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