blog di Carlo Cuppini

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martedì 15 dicembre 2009

72- Galleria

Vede avvicinarsi un altro se stesso.

Lui è seduto su un divano accostato a una lunga parete, nell'ombra; l'altro si avvicina giungendo da destra; la sua sagoma si distingue appena nel buio della Galleria che li accoglie.
Il frastuono di un attimo prima è come congelato, ridotto a una vibrazione interna al silenzio che ora si espande.

La Galleria, ormai simile a una caverna, è effettivamente uno strano vano oblungo, seminterrato e senza finestre; un luogo umido, apparentemente scavato nel suolo, senza stucco e intonaco. La sala –che suo malgrado non è inospitale- è molto lunga e piuttosto stretta, come una vasca; il soffitto, piuttosto basso, è a botte, e l'incavo superiore raccoglie l'infittirsi dell'ombra, come se il distillato grigio di tutta la penombra della stanza colasse verso l'alto per via di una gravità invertita, condensandosi nell'abisso sospeso del neropesto, dove lo sguardo sprofonda.

Le pareti della Galleria sono interamente tappezzate di quadri. Le tele appaiono scure; non sono illuminate, se non per un bagliore diffuso che le sfiora; di questa luminescenza lui non può individuare la fonte;quel che è certo è che non è sufficiente a fare la minima chiarezza sulle immagini dipinte. Lui, dal divano dove è seduto, non può riconoscere neanche un soggetto, ma è stupefatto dalla quantità dei quadri appesi, e dal criterio apparentemente caotico – ma che in realtà riempie abilmente, a incastro, ogni spazio vuoto della parete- dell'allestimento. Non ha motivi comunque per alzarsi e tentare avvicinandosi, di scoprire che cosa mostrino le opere esposte. Il suo stare seduto su quel divano è un riposo senza tempo, che non ha ragioni, né attese, né sviluppi.

L'altro se stesso entra nel suo campo visivo quando è già a pochi metri da lui; gli passa davanti senza mutare il suo passo rapido e determinato, lanciandogli appena un'occhiata. Non perde tempo con saluti, frasi di circostanza o spiegazioni di alcun tipo: va dritto alla parete corta della Galleria, quella che sta molti metri più in là, alla sinistra di lui che è seduto.
Giunto alla parete, l'altro mette le mani su un quadro preciso, lo ruota di pochi gradi con un gesto secco dei polsi.
Era storto, dice. Lo vedi? Adesso ci siamo.
Se ne va; attraversa di nuovo la Galleria verso destra e sparisce nel buio; ritorna da dove è venuto.

Lui resta seduto sul divano. In questo breve lasso di tempo non ha fiatato e non si è mosso. Il suo braccio sinistro è ancora appoggiato sullo schienale come era prima dell'apparizione dell'altro. Si è limitato a voltare leggermente la testa per seguire i suoi movimenti.
Ora sente lo spazio girare vorticosamente attorno alle sue orecchie. Sta aggrappato al divano. Non sa bene perché, ma teme che una voragine si stia per aprire al centro del suo petto; e che questa voragine risucchierà tutta l'aria del seminterrato, lasciandolo solo, senza ossigeno, a contemplare il biancocieco che dilaga dal fondo dei suoi occhi.

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